5. IL VESCOVO CIRILLO FU COLPEVOLE DELLA MORTE DI IPAZIA?
Il racconto di Socrate Scolastico, qui sopra citato, è il più vicino agli eventi e afferma chiaramente che nel 415 d.C. Ipazia “cadde vittima della gelosia politica che a quel tempo prevalse”. Nonostante l’autore non sia affatto dalla parte del vescovo Cirillo ma, anzi, un forte sostenitore di Oreste, non attribuisce a lui l’assassinio della filosofa, sebbene chiarisca che il dramma avvenne in seguito al suo conflitto politico con il prefetto Oreste.
Non c’è nella fonte primaria alcuna condanna diretta nei confronti di Cirillo. La colpa ricade invece sul gruppo di cristiani guidati da Pietro “il lettore”, attribuendo loro tutte le responsabilità dell’accaduto. Socrate Scolastico sottolinea solamente che l’iniziativa di questi fanatici ebbe -come è comprensibile- ripercussioni sulla chiesa stessa e sul suo rappresentante, Cirillo. Ma questo non significa certo che lui approvasse o fosse coinvolto.
La storica del cristianesimo Ilaria Ramelli, Senior Research Fellow presso l’Università di Durham e ordinario di Storia del Vicino Oriente romano, ha spiegato che Socrate Scolastico rappresenta «la fonte più antica relativa alla drammatica vicenda di Ipazia, risalente appunto a vent’anni dopo i fatti. Ha anche fatto notare che l’autore è un ammiratore di Ipazia e accusa degli “uomini esaltati” del popolino (non parla di monaci). «Socrate non incolpa direttamente Cirillo dell’assassinio», riporta Ramelli, ma cita «il lettore Pietro», e se anche quest’ultimo dovesse essere l’omonimo collaboratore di Cirillo, Pietro Anagnoste, «Socrate non istituisce questo legame».
Al contrario, lo scrittore pagano Damascio (ostile verso Cirillo), attribuisce la colpa direttamente al vescovo Cirillo nel suo resoconto tardivo, scritto un secolo dopo i fatti:
«Cirillo, vescovo della setta dell’opposizione, passava accanto alla casa di Ipazia e vide una grande folla di persone davanti alla sua porta. Alcuni arrivando, altri uscivano, altri ancora stavano in piedi. Quando chiese perché c’era una folla lì radunata e cosa fosse tutto quel caos, i suoi seguaci gli dissero che era la casa della filosofa Ipazia e che erano lì per salutarla. Così si rose a tal punto nell’anima che tramò la sua uccisione, in modo che avvenisse il più presto possibile, un’uccisione che fu tra tutte la più empia. Quando Ipazia uscì da casa sua, una folla di uomini spietati e feroci che non temevano né la punizione divina né la vendetta umana, la attaccarono e la uccisero, commettendo così un’azione scandalosa e vergognosa contro la loro città» (Vita di Isidoro, 43E).
Tra le due fonti, quella di Socrate Scolastico e quella di Damascio, emerge una forte differenza nella narrazione dei fatti. L’accusa di Damascio nei confronti del vescovo Cirillo è esplicita, dichiarandolo mandante diretto dell’omicidio. Scrivendo dopo un secolo non si sa da quali fonti lo abbia dedotto, in ogni caso ha una scarsa attendibilità storica.
Oltre alla grande distanza dagli avvenimenti, Damascio scrive esplicitamente in un’ottica fortemente anticristiana (i seguaci di Cristo, ad esempio, vengono definiti “setta di opposizione”), certamente lontano dalla neutralità di Socrate Scolastico.
Damascio, inoltre, sostiene che il movente dell’assassinio fu “l’invidia” provata da Cirillo nei confronti di Ipazia. Anche questo appare piuttosto inverosimile poiché il vescovo era uno dei teologi e filosofi più stimati e potenti dell’epoca e non vi era alcun motivo plausibile che lo potesse portare ad invidiare la filosofa.
Il classicista Luciano Canfora, dal noto bias anticristiano, ritiene incredibilmente sarebbe Socrate Scolastico la «fonte che più disturba gli studiosi cattolici», in quanto «chiama in causa apertamente Cirillo, ed è quanto mai limpido». L’attribuzione della colpa a Cirillo, secondo Canfora, sarebbe in queste parole finali di Socrate Scolastico: «Questo misfatto procurò non poco biasimo (οὐ μικρὸν μῶμον) a Cirillo e alla chiesa di Alessandria». Per lo studioso italiano, «va da sé che, solo in quanto considerato mandante o ispiratore, Cirillo poté essere oggetto di “grande biasimo”, di “macchia”».
E’ un ragionamento assai debole. Innanzitutto, Socrate Scolastico attribuisce il “grande biasimo” anche alla chiesa di Alessandria: difficilmente intende sostenere che tutta la comunità ecclesiale della città sia mandante o ispiratrice dell’omicidio, più probabilmente intende sottolineare la ripercussione negativa per l’immagine del vescovo della città, Cirillo, e della chiesa di Alessandria nel fatto che un gruppo di fanatici cristiani sostenitori di Cirillo nella disputa politica, avesse commesso tale omicidio.
Inoltre, il cristiano Socrate Scolastico sa che il vescovo di una comunità ecclesiale, in quanto autorità morale di un corpo organico seppur locale, è sempre “macchiato”, “screditato” e oggetto di “grande biasimo” quando un prete della sua diocesi commette un abuso. Questo spiega, per fare un esempio moderno, le scuse del vescovo di Anversa, don Michele Barone, pronunciate pubblicamente -pur non avendo alcuna responsabilità!- per le lesioni sessuali provocate da un parroco della sua diocesi. Allo stesso modo, il vescovo di Como, mons. Diego Coletti, ha chiesto perdono alle vittime, alle famiglie e alla parrocchia di San Giuliano, dopo che un prete della sua diocesi ha abusato di cinque ragazzine.
Canfora ironizza, infine, sul fatto che diversi studiosi non ritengono attendibile la ricostruzione di Damascio: «Argomentare che, vissuto un secolo dopo i fatti, Damascio non poteva sapere è stupido: è come dire che quanto Polibio narra della prima guerra punica, rispetto alla quale egli vive per l’appunto un secolo più tardi, non ha valore!».
Il classicista italiano non coglie il punto: non esistono relazioni contemporanee alla prima guerra punica. Al contrario, rispetto all’uccisione di Ipazia esiste una fonte coeva dei fatti, quella di Socrate Scolastico, il quale oltretutto è notoriamente una fonte ostile a Cirillo e avrebbe avuto buone ragioni per addossare la colpa al vescovo, ma non lo fa. Non c’è motivo per preferire una fonte tardiva di un secolo quando è disponibile una neutrale fonte contemporanea ai fatti, la quale contraddice il resoconto tardivo.
Lo spiega approfonditamente lo storico della University of California, Edward J. Watts, nel suo studio su Ipazia. Lo storico sottoliena inoltre che spesso la plebe era usata per intimidire e manifestare rumorosamente nelle antiche polemiche di strada, anche se omicidi deliberati erano rari anche nella tumultuosa Alessandria e accadevano solo quando le cose sfuggivano di mano, raramente erano oggetto deliberato di un piano.
Ancora più distante dai fatti -200 anni dopo!- è il resoconto del vescovo Giovanni di Nikiû, che descrive Ipazia come l’archetipo della malvagità pagana.
«A quei tempi apparve ad Alessandria una filosofa femmina, una pagana di nome Ipazia, dedita alla magia, agli astrolabi e agli strumenti della musica. Seduceva molte persone attraverso le sue astuzie sataniche. E il governatore della città la onorò moltissimo, poiché lo aveva sedotto con la sua magia. E cessò di frequentare la chiesa come era sua abitudine. […] E in seguito una moltitudine di credenti in Dio sorse sotto la guida di Pietro il magistrato […] e procedettero a cercare la donna pagana che aveva sedotto il popolo della città ed il prefetto attraverso i suoi incantesimi […] e la trascinarono finché non la portarono nella grande chiesa, chiamata Cesarione […]. E le strapparono le vesti e la trascinarono [….] per le strade della città fino alla sua morte. E la portarono in un posto chiamato Cinarone, e la bruciarono sul fuoco. E tutto il popolo circondò il patriarca Cirillo e lo nominò “il nuovo Teofilo”; poiché aveva distrutto gli ultimi resti di idolatria in città».
I parallelismi con il racconto di Socrate Scolastico sono evidenti, sappiamo infatti che Giovanni di Nikiû usò la Historia ecclesiastica di Socrate come fonte principale di questa sezione della sua Cronaca. Ma anche Nikiû (come Damascio) ha deliberatamente cambiato la storia, aggiungendo alcuni ricami: Ipazia diventa una strega pagana e malvagia che porta fuori strada Oreste, facendogli abbandonare la sua fede.
Niente di tutto ciò si rifletterà in altre fonti cristiane successive, come il bizantino Suda, Teofane Confessore e Niceforo Callisto Xanthopoulos: tutti riflettono essenzialmente il racconto di Socrate Scolastico. Questo porta a concludere che questi nuovi elementi siano stati un’invenzione di Nikiû. Al tempo in cui egli visse, verso la fine del VII secolo d.C., il paganesimo era quasi completamente sparito in Egitto ed i pochi pagani rimasti vivevano per lo più ai margini della società. In assenza di un contatto diretto tra cristiani e pagani, perciò, le rappresentazioni popolari cristiane del paganesimo erano spesso ridotte a stereotipi di stregoni e malfattori.
Per lo stesso motivo per cui non si può ritenere storicamente attendibile la fonte Damascio (a favore di Ipazia), nemmeno Giovanni di Nikiù (contro Ipazia) scrive un resoconto affidabile. L’unica fonte attendibile è quella coeva ai fatti, Socrate Scolastico.
La storica Maria Dzielska, ordinario all’Università Jagellonica (Polonia) e autrice di una biografa su Ipazia, ha respinto anche l’idea che siano stati i monaci di Nitria, chiamati da Cirillo, gli autori dell’omicidio. Innanzitutto, Socrate Scolastico non lo sostiene, inoltre, scrive la storica, i monaci «terrorizzati dalla reazione popolare alla loro aggressione contro il prefetto Oreste, scapparono a gambe levate». Che la folla che l’ha uccisa fosse sostenitrice di Cirillo è evidente, ma non sembrano essere stati monaci.
Anche l’Enciclopedia Treccani italiana riferisce a proposito del vescovo Cirillo: «A torto egli venne accusato di avere ordinato l’uccisione di Ipazia; ma non è improbabile che i promotori della sommossa in cui ella perì abbiano creduto di far cosa a lui grata».
Moreno Morani, direttore del Dipartimento di Scienze dell’Antichità e del Medioevo all’Università degli Sudi di Genova, ha concluso:
«Se si esaminano i fatti storici reali, basandoci unicamente sui documenti, si conclude che non vi è nessuna prova» del coinvolgimento diretto del vescovo Cirillo. «La morte di Ipazia si colloca nel quadro di un’età e di una zona in cui la confusione e le turbolenze sono al massimo grado e investono tanto l’autorità civile quanto la comunità cristiana. È un mondo di grandi contrasti l’Egitto di quell’epoca. Un mondo in cui si hanno documenti di sincretismo religioso quasi impensabili per noi e tensioni al limite dell’esplosione, fra ortodossi ed eretici, fra cristiani e pagani, fra cristiani e gnostici. Più ancora che i testi degli storici, sono gli atti delle vita quotidiana (iscrizioni, papiri) a darci un quadro realistico di questa confusione. A ciò si aggiunga, come ricordano le fonti antiche, il temperamento naturalmente appassionato e veemente della popolazione in quel microcosmo multietnico e multiculturale che era la Alessandria dell’epoca».
Se l’analisi delle fonti assolve Cirillo dalla responsabilità diretta dell’omicidio di Ipazia (neanche come mandante morale), le fonti storiche non riportano neppure alcun intervento del vescovo di Alessandria per fermare i suoi sostenitori mentre diffondevano false voci su Ipazia ed, infine, alcuni di essi l’hanno uccisa. In mancanza di prove contrarie, San Cirillo d’Alessandria può essere incolpato di tale silenzio.